mercoledì 19 marzo 2014

AFFITTO - LA CORTE COSTITUZIONALE BLINDA L'ACCORDA TRA LE PARTI

La Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale per eccesso di delega dell'art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 23/2011, nella parte in cui prevedeva la possibilità del conduttore di registrare tardivamente il contratto di locazione “in nero”, ottenendo un “nuovo” contratto di durata quadriennale e con riduzione del canone d'affitto pari al triplo della rendita catastale dell'immobile. Una disciplina estesa anche alle ipotesi di contratto di locazione registrato con un canone inferiore a quello effettivo e di contratti di comodato fittizi.

Cancellati dunque gli “sconti” previsti in caso di registrazione dei contratti in nero. Una decisione che travolge uno dei capisaldi della disciplina della cedolare secca sugli affitti: quella che stabiliva l'applicazione ai contratti non registrati di un canone annuo pari al triplo della rendita catastale, con una riduzione degli affitti fino al 70-80% rispetto alle cifre di mercato.

Le norme in questione avevano peraltro già sollevato non poche perplessità sia in giurisprudenza che tra le associazioni di settore, soprattutto nella parte in cui consentivano all'inquilino, con la mera registrazione tardiva del contratto, di “autoridursi il canone” senza tener conto della controparte contrattuale e s enza la necessità di un preventivo intervento del giudice. Una previsione che, da strumento di lotta all'evasione, rischiava di sfociare in situazioni di vero e proprio abuso del diritto. Ne avevamo già parlato in un precedente articolo (Cedolare secca: il conduttore può autoridursi il canone?).

La sentenza in commento origina da numerose cause promosse dai proprietari, a seguito delle quali alcuni Tribunali – Salerno, Palermo, Firenze, Genova, Roma – hanno rimesso la questione alla Corte Costituzionale. Nel mirino la legittimità costituzionale dell'art. 3, commi 8 e 9 del d.lgs. n. 23/2011, norma che la stessa Consulta definisce “sotto numerosi profili “rivoluzionaria” sul piano del sistema civilistico vigente”.

Tra i rilievi di incostituzionalità sollevati, la Consulta ha accolto quello che concerne l'eccesso di delega, ritenendo che le misure adottate dal Governo siano del tutto prive di “copertura” da parte della legge di delegazione n. 42/2009, in riferimento sia al relativo ambito oggettivo, sia alla sua riconducibilità agli stessi obiettivi perseguiti dalla delega, in violazione dell'art. 76 Cost.

Con la legge n. 42 del 2009 il Parlamento ha inteso introdurre, tra l'altro, “disposizioni volte a stabilire in via esclusiva i principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, con l'obiettivo dichiarato di disciplinare «i principi generali per l'attribuzione di un proprio patrimonio a comuni, province, città metropolitane e regioni». Ancora: l'art. 2 della legge precisa che l'esercizio della funzione legislativa è conferito «al fine di assicurare, attraverso la definizione dei princípi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e la definizione della perequazione, l'autonomia finanziaria di comuni, province, città metropolitane e regioni nonché al fine di armonizzare i sistemi contabili e gli schemi di bilancio dei medesimi enti e i relativi termini di presentazione e approvazione, in funzione delle esigenze di programmazione, gestione e rendicontazione della finanza pubblica».

Si tratta – osserva la Corte - di un ambito normativo rispetto al quale il tema di cui alla disciplina denunciata risulta del tutto estraneo, essendo questa destinata ad introdurre una determinazione legale di elementi essenziali del contratto di locazione ad uso abitativo (canone e durata), in ipotesi di ritardata registrazione dei contratti o di simulazione oggettiva dei contratti medesimi, pur previste ed espressamente sanzionate nella disciplina tributaria di settore

Anche il tema generale dell'evasione fiscale non può essere considerato (come sostenuto dal Governo) quale criterio per l'esercizio della delega. Quest'ultimo, infatti, per definizione, deve indicare lo specifico oggetto sul quale interviene il legislatore delegato, entro i previsti limiti.

La sentenza accenna, poi, allo Statuto dei diritti del contribuente - inserito tra i parametri oggettivi della legge delega - secondo cui le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto. Ne consegue che, tanto più, la mera inosservanza del termine per la registrazione di un contratto di locazione non può legittimare (come sarebbe nella specie) addirittura una novazione del contratto – per factum principis – quanto a canone e a durata. La denunciata “sostituzione” contrattuale avviene peraltro “in via automatica”, a seguito della mancata tempestiva registrazione del contratto, con ulteriore violazione degli obblighi d'informazione del contribuente, anch'essi prescritti dal predetto statuto.

Com'è noto, la dichiarazione di incostituzionalità di una legge o di un atto avente forza di legge rende generalmente la norma inefficace ex tunc e, quindi, estende la sua invalidità a tutti i rapporti giuridici ancora pendenti al momento della decisione della corte, restandone esclusi soltanto i «rapporti esauriti» come, ad esempio, quelli decisi con sentenza passata in giudicato, oppure non più operanti, per decadenza o prescrizione.

Al di là dei pareri favorevoli o contrari, la dichiarazione d'illegittimità costituzionale per difetto di delega non sembra tuttavia porre la parola fine alla c.d. cedolare secca. La parola torna ora al legislatore, che dovrà valutare l'opportunità di reintrodurre la disciplina in questione, tenendo conto delle numerose criticità sollevate dalla giurisprudenza e dalla stessa Corte Costituzionale.


Le reazioni delle associazioni di categoria. La decisione della consulta è stata accolta con favore della associazioni dei proprietari, che avevano già denunciato i rischi di abuso della norma da parte degli inquilini. Secondo Corrado Sforza Fogliani, presidente di Confedilizia, “la sentenza conferma che la Consulta presidia con fermezza i principi di certezza e correttezza del diritto”. Fabio Pucci, segretario generale dell'UPPI pone l'attenzione sugli effetti retroattivi della pronuncia, per cui “i contratti che sono stati registrati dagli inquilini finiranno nel nulla”, e i proprietari, in caso di sfratto per morosità vanificato dall'applicazione della norma incostituzionale, “potranno chiedere agli inquilini di liberare l'abitazione, in quanto il contratto cesserà unitamente alla norma prevista dal decreto del 2011 ”.

Quali effetti avrà la sentenza della Consulta? In attesa di eventuali determinazioni da parte del legislatore, è necessario capire quali sono le ricadute pratiche della decisione della Consulta sui contratti in corso, che dovrebbero tornare ai canoni precedenti anche per il periodo arretrato. Sul punto, Ladislao Kowalski (UPPI) sottolinea “il pericolo che venga fatta una legge che sani la carenza di delega”. Intervento invocato, invece, da Daniele Barbieri, segretario generale della SUNIA, secondo il quale “la sentenza determina una gravissima situazione di vuoto normativo nella politica di contrasto all'evasione fiscale e il motivo di eccesso di delega può e deve essere sanato dal Parlamento”. Secondo Guido Piran, segretario generale del Sicet “con questa pronuncia - fa sapere in una nota - tornerà a crescere l'illegalità ed il nero nel settore degli affitti che con la norma censurata dalla Corte Costituzionale aveva iniziato a diminuire”. “Ma oltre a questo viene a crearsi una situazione di forte incertezza per le conseguenze delle situazioni pregresse ed un vuoto legislativo di una efficace misura a tutela degli inquilini e di lotta all'evasione che ogni anno vede negli affitti oltre 2 miliardi di imposte non pagate”. “Chiederemo al Governo, al Parlamento e a tutte le forze politiche di inserire nel Piano Casa un apposito articolo che risolva il problema a riparo da censure della Corte Costituzionale”.

Dello stesso parere Valerio Angeletti, presidente di Fimaa che ritiene opportuno l'intervento del Governo al fine di sanare la gravissima situazione di vuoto normativo nella politica di contrasto all'evasione fiscale determinata dalla sentenza della Consulta che ha dichiarato illegittimi. “E' necessario che venga promulgata in tempi brevissimi una legge apposita che sani la carenza di delega. Se le norme non verranno ripristinate - continua Angeletti - gli inquilini non potranno più chiedere la riduzione del canone per gli immobili con contratto non registrato, causando un enorme danno alla lotta contro l'evasione fiscale e al settore immobiliare per quanto riguarda la disincentivazione della registrazione dei nuovi contratti di locazione. Inoltre, data la retroattività della sentenza, - conclude - i contratti 'ridotti' in corso si estingueranno automaticamente, anzi e' come se non fossero mai esistiti”.

Tornano in gioco i vecchi contratti. In termini generali, la sentenza di incostituzionalità produce l'effetto di disapplicare la norma censurata retroattivamente, travolgendo la validità di tutti i rapporti giuridici ancora pendenti al momento della decisione, con la sola esclusione dei «rapporti esauriti» come, ad esempio, quelli decisi con sentenza passata in giudicato, oppure non più operanti, per decadenza o prescrizione.

Nel caso di specie, i contratti sorti in applicazione delle norme annullate della Consulta dovranno considerarsi estinti o risolti a tutti gli effetti, con conseguente recupero dei precedenti contratti. Se si tratta di un contratto di locazione scritto e non registrato, la riduzione automatica del canone, operata ex art. 3, commi 8 e 9, d.lgs. n. 23/2011, è illegittima e si torna al condizioni contrattuali di partenza. Ne consegue che il pagamento in misura ridotta configurerò un inadempimento del conduttore, con la possibilità, per il locatore, di attivare la procedura di sfratto per morosità.

Nel caso di contratto verbale di locazione, poiché è richiede la forma scritta a pena di nullità, il locatore non potrà agire in forza della locazione, ma con una causa ordinaria, contestando l'occupazione senza titolo dell'immobile e chiedendo la condanna dell'occupante al pagamento di una somma a titolo di indennità di occupazione. Sul punto, peraltro, la giurisprudenza ha stabilito che la registrazione effettuata dall'inquilino ex art. 3 del d.lgs. 23/2011 presuppone, comunque, un contratto valido e che, pertanto, la registrazione predetta non valeva a sanare un contratto di locazione nullo ab origine per difetto di forma scritta (Nullo il contratto di locazione se concluso verbalmente).

Infine, in presenza di contratto di comodato fittizio, dissimulante una locazione, il proprietario dovrà agire in via ordinaria per la risoluzione del contratto alla scadenza e la condanna al rilascio (artt. 1809-1810 c.c.). Nella stessa causa potrà richiedere una somma titolo di indennità di occupazione, a decorrere dalla scadenza del contratto di comodato.




Fonte: Condominioweb

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